Tiffany ha partecipato a diverse missioni in Iraq e Afghanistan. Ha assistito tantissimi bambini e ha curato e parlato ai suoi pazienti mentre li trasportava in sala operatoria. La cosa più indimenticabile per lei è l’emozione nel risvegliare i bambini dopo un intervento chirurgico per riportarli dalle loro mamme che sono felici di riabbracciarli e di vedere sui loro piccoli volti un nuovo sorriso.
Ecco il racconto della sua prima missione in Iraq.
Ricordo bene la gioia che ho provato quando finalmente quella proposta che aspettavo da tempo è arrivata, non ci credevo neanche io.
“Vieni in missione in Iraq?” – La risposta era ovvia, quello che inseguivo oramai da due anni si stava concretizzando. L’avevo immaginato così tante volte che nella mia testa sembrava fosse ancora un pensiero, un sogno e invece stava diventando realtà. Non ci ho pensato due volte, era una opportunità troppo preziosa.
L’immensa felicità che ho provato però era solo l’inizio di un’esperienza incredibile e straordinaria che mi ha segnato e insegnato tantissimo.
Sono arrivata all’aeroporto prestissimo con lo zaino carico di speranze e ho aspettato l’arrivo del gruppo. Non conoscevo nessuno, ma la sensazione che ho avuto sin da subito, e che poi è stata confermata col passare dei giorni, è stata quella di un team affiatato e unito da uno stesso scopo: AIUTARE chi ha bisogno.
Durante il lungo viaggio notturno non ho chiuso occhio. Nella testa i miei pensieri correvano veloci uno dietro l’altro, ed essendo la mia prima missione non sapevo bene cosa mi stesse aspettando. Ho ascoltato tante volte i racconti di mia mamma (infermiera come me che opera per una ONG) ma un’idea precisa proprio non ce l’avevo.
Tra una chiacchiera e l’altra e una buona dose di caffè, siamo arrivati all’aeroporto di Bassora, tappa intermedia prima di raggiungere con un piccolo pulmino e circa tre ore di marcia, Nassiriya.
Non potevamo perdere neanche un minuto, l’obiettivo era quello di iniziare subito a lavorare per poter dare al maggior numero di bambini un’opportunità: cambiare drasticamente la loro vita, il loro futuro. Le malformazioni di un certo tipo, oltre ad essere un problema dal punto di vista fisiologico ed estetico, creano purtroppo una grande emarginazione sociale.
All’entrata in ospedale sono rimasta scioccata dalla quantità di persone in fila che aspettavano il nostro arrivo; famiglie intere che avevano affrontato un viaggio lunghissimo e che riponevano in noi (persone a loro totalmente estranee) tutte le loro speranze e la loro fiducia per garantire ai loro figli una vita e un futuro migliore.
Ricordo perfettamente gli occhi di quelle mamme e di quei papà e gli infiniti ringraziamenti di chi è consapevole che, varcata quella porta verde, niente sarà più come prima.
Ho visto lacrime venire dalla disperazione più grande, e quelle stesse lacrime trasformarsi in gioia immensa nel vedere per la prima volta sorridere i loro piccoli.
La sensazione che ogni sera mi pervadeva, quando stanca mi mettevo nel letto, era che in quel momento il mio posto era lì e in nessun altro luogo e che anche se non avrei cambiato il mondo (e non ho la pretesa di farlo) avrei contribuito in qualche modo, nel mio piccolo, a cambiare la vita di quei bimbi meno fortunati di tanti altri ma con lo stesso diritto di poter essere felici.
I giorni sono passati veloci fino a coincidere con il rientro in Italia. Ero contenta di tornare a casa dalla mia famiglia, mio marito, mia figlia, ma la prima cosa che ho pensato mentre l’hostess era intenta a illustrare le varie uscite di emergenza, è stata: non può finire così, devo assolutamente tornare! Questo perché quegli occhi non li dimentichi facilmente e perchè il sorriso di un bambino è una magia.
Nessuno di noi sceglie dove nascere ma ciascuno di noi HA IL DIRITTO ad avere le stesse opportunità.
Sarò sempre riconoscente a Emergenza Sorrisi per questa meravigliosa esperienza.